Greenwashing, un fenomeno ancora troppo presente

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Scopri cosa è il greenwashing, ovvero l’ambientalismo di facciata.

Apparentemente, i termini green, ecologico, bio, sostenibile, sembrano un significato chiaro. Ma è davvero così? Il rispetto per l’ambiente è sempre comunicato correttamente, in particolare dalle aziende? Questo è uno degli interrogativi che sempre più associazioni di consumatori e ambientaliste si stanno ponendo. Questo per arginare il fenomeno del greenwashing, ecologismo o ambientalismo di facciata.

Ancora oggi sono troppe le pubblicità distorte sulle quali le aziende puntano per dipingersi green con il solo scopo di ottenere un maggiore profitto. Infatti negli ultimi anni marketing e comunicazione ambientale hanno assunto un peso maggiore su tutti noi. Cambiamenti climatici, inquinamento e plastica nei mari, sono solo alcuni dei temi trattati ogni giorno dai media, sia analogici che digitali.

L’ambiente ha assunto una grande importanza commerciale nella nostra società. Le etichette si tingono di verde e le pubblicità provano a declinare la parola green in tutti i modi possibili. Ma quanto tutto questo supporta un impegno reale nei confronti dell’ambiente?

Quando nasce e come funziona il greenwashing?

Il termine greenwashing nasce nel 1986 dall’attivista e biologo Jay Westerveld, trovando il suo significato nella similitudine con la parola whitewashing. Letteralmente imbiancare o intonacare, il termine è utilizzato per descrivere pratiche comunicative volte a nascondere aspetti spiacevoli o addirittura scandali.

Allo stesso modo, il greenwashing riguarda la stessa pratica a discapito, però, del nostro Pianeta, rendendo scettici gli stessi consumatori. Proprio su questo tema, nel 2020, la Commissione Europea ha concentrato uno screening a tappeto dei siti web per individuare questo tipo di violazione dei diritti dei consumatori. Dai risultati è emerso che circa la metà delle affermazioni ecologiche è priva di fondamento.

Si tratta di un campanello d’allarme e Luigi Gabriele, presidente dell’associazione Consumerismo no profit ritiene ci siano purtroppo ancora una scarsa conoscenza del fenomeno da parte dei non addetti ai lavori. “Il consumatore è abbastanza ignaro dei fenomeni effettivi che ci sono dietro certe diciture ambientali”.

Come aumentare la consapevolezza?

Per iniziare a far crescere la consapevolezza sulle questioni che riguardano la salute del nostro Pianeta, l’educazione ambientale è stata inserita nelle scuole di ogni ordine e grado. Inoltre si auspica diventi anche materia di studio trasversale dell’alta formazione.

In più marchi e etichette applicabili ai prodotti, servizi o aziende, che rispettano norme ambientali regolamentate in maniera ufficiale possono fornire al consumatore maggiore consapevolezza.

Ovviamente queste etichette devono essere chiare e riconoscibili, nonché interpretabili. Vale a dire certificati con ISO 14.001, EMAS, dell’etichetta Ecolabel o, più semplicemente, di biologico certificato.

Il problema sta, appunto, nel fatto che non sempre tutte le etichette risultano comprensibili al consumatore. Secondo il sito Ecolabel Index di etichette ne esistono 455, distribuite in 199 paesi e in 25 settori produttivi diversi. Non sono poche, ma l’obiettivo è quello di semplificare le idee a chi acquista prodotti certificati.

I casi di greenwashing sono tanti. Per questo occorre più regolamentazione e un maggiore controllo da parte delle istituzioni. Inoltre è necessaria una più ampia diffusione delle informazioni al fine di evitare di scaricare tutte le responsabilità al consumatore e alle sue scelte di consumo.

Per saperne di più, visita il link:

https://www.regionieambiente.it/greenwashing-per-meta-delle-affermazioni-ecologiche-dei-prodotti-online/

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